Indice Anagrafico dei corsari operanti nel Mediterraneo:
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GUILLAUME GADAGNE DE BEAUREGARD (Guglielmo Guadagni, Bellegarde) Francese. Cavaliere di Malta e di Santo Stefano. Di famiglia di origine fiorentina. Cognato di Beaulieu-Persac.
+1615
Anno, mese | Stato, in proprio | Avversario | Azioni intraprese ed altri fatti salienti |
………………… | Francia | Spagna | Combatte nelle guerre di Borgogna. |
………………… | Malta | Impero ottomano | Si trova alla difesa di Malta contro i turchi. |
1606 | Toscana | Impero ottomano |
Salpa da Livorno con 7 navi a vela, vascelli e galeoni, armati per la guerra di corsa a favore del granduca di Toscana Ferdinando dei Medici. |
1607 | |||
Maggio luglio | Toscana | Impero ottomano |
Prende parte con Iacopo Inghirami ad un vano attacco portato a Famagosta (Ammokhostos). |
Agosto settembre | Toscana | Corsari barbareschi |
Alla testa di 2 galeoni e di 3 bertoni (che alzano l’insegna della granduchessa di Toscana Cristina di Lorena) affianca ancora l’Inghirami (9 galee) alla conquista di Bona (Annaba). Esce da Livorno a fine mese. L’armata si divide in due gruppi: il Beauregard con i velieri si dirige direttamente verso la costa africana, l’isola di La Galite, mentre le galee incrociano tra le isole dell’arcipelago toscano dove è segnalata la presenza della squadra di Amurat Rais (9 galee). Il corsaro ottomano evita ogni contatto preferendo puntare sulla Corsica e spostarsi in un secondo momento verso il Levante. La flotta granducale comandata dall’Inghirami si dirige inizialmente verso la Sardegna per rifornirsi d’acqua e di vettovaglie. Da qui si indirizza verso la Barberia: la sua traversata è ostacolata da un forte maestrale, per cui solo a metà settembre essa è in vista del litorale maghrebino. Vascelli e galee si congiungono a La Galite. Il pilota della capitana dell’Inghirami sbaglia punto di approdo e finisce contro una costa alta e rocciosa. Si perdono così ore preziose alla ricerca di un luogo meno impervio. Trovatolo, questo risulta inidoneo allo sbarco diretto delle galee e dei vascelli a causa dei bassi fondali: per fare scendere a terra le truppe si deve ricorrere a mezzi da sbarco come le fregate, gli schifi, i caicchi e le feluche. Di conseguenza i tempi si allungano e le operazioni di discesa a terra hanno termine solo alle prime ore del mattino. I soldati, al comando di Silvio Piccolomini, si mettono in marcia a giorno chiaro. In testa si trova il Beauregard con 540 fanti; ogni compagnia è munita di tutte le attrezzature di assedio. Assale la fortezza dopo avere diviso i suoi uomini in quattro gruppi. Fa saltare con l’esplosivo l’unica porta di ingresso. I rimanenti gruppi, agli ordini suoi ed a quelli dei capitani Baldelli e Agliotti, iniziano la scalata delle mura su gli altri tre lati. La formazione toscana ha presto ragione sulla guarnigione della fortezza posta all’esterno della città. L’aga, comandante del presidio viene ucciso con 70/80 giannizzeri. 200 uomini, e gli abitanti che risiedono nella fortezza, si arrendono rapidamente. Il Beauregard fa smantellare i cannoni di bronzo disseminati lungo il perimetro della fortezza, li fa gettare giù dalle mura per poterli trasportare a bordo delle sue navi come bottino di guerra. In realtà, a causa della loro pesantezza, è possibile caricare sui vascelli solo 5 pezzi. Da ultimo dà fuoco alle abitazioni ed avvelena i pozzi di acqua potabile. Si collega poi con il resto delle truppe granducali impegnate in tre colonne (al grido di Sant’Agostino) a dare l’assalto alle porte cittadine. Entra in Bona, prende alle spalle i turchi che si difendono nelle strade ed impedisce alla cavalleria nemica di accorrere a difesa degli abitanti. Nello stesso tempo le navi dell’Inghirami mettono a tacere 3 cannoni che da un torrione hanno incominciato a sparare contro gli attaccanti. I fuggitivi della città sono investiti sulla costa dal fuoco delle galee e dei vascelli. Il bottino è consistente. Sono ridotte in schiavitù 1500 persone tra uomini, donne e bambini. Un rapido saccheggio e, infine, il reimbarco. Il bilancio delle perdite è di 470 musulmani uccisi (per lo più giannizzeri) contro 70 caduti di parte toscana. A fine mese il convoglio rientra a Livorno. |
………………… | In proprio | Impero ottomano |
Di ritorno dall’Africa sequestra in Levante molti legni mercantili per vendicare, a suo dire, l’alleato Giampulat, che nel dicembre precedente è stato battuto da Murad Pascià. Altri ne cattura nei mari di Siria: il bottino è grande. |
1608 | |||
Febbraio | Toscana | Impero ottomano |
Salpa per il Levante con 3 galeoni comandati da ufficiali inglesi ed olandesi, 2 bertoni ed altre 3 navi appoggio. Sono imbarcati a bordo 800 soldati. E’ informato della presenza di numerosi caramussali nei pressi di una località dell’arcipelago, detta “alla Cavalla”, dove stanno caricando del frumento. Fa sbarcare i cavalieri di Santo Stefano a bordo della sua squadra e 300 soldati. Costoro si precipitano sulle persone ivi radunate e le costringono a fuggire su alcune piccole imbarcazioni tenute pronte in una fiumara vicina. Dopo una scaramuccia incruenta con un gruppo di galee turche il Beauregard prosegue costeggiando all’esterno l’isola di Cipro (Kypros); si dirige verso la Siria e la Palestina sino a Sidone (Sayda). Ritorna indietro su Capo Celidonio (Karatas Burun) e Castelrosso (Megisti) non lontano da Finica (Finike). Ritarda a transitare la carovana di Alessandria d’Egitto: per non rimanere per troppo tempo inoperoso pensa di impadronirsi della fortezza di Alaya (Agva) sulla costa della Caramania (Karaman). Il suo attacco viene respinto. |
Marzo agosto |
Durante una delle sue scorrerie si imbatte presso l’isola di Taso (Thasos) nella squadra di Amurat Rais, forte di 17 galee. Il corsaro avversario, prudentemente, gli lascia libero il campo. Ad agosto si ricongiunge con la squadra stefanesca presente nelle stesse acque con l’Inghirami. Si decide (agosto) di attaccare nuovamente Alaya. Il Beauregard, a fine mese, fa trasferire a bordo delle galee i soldati presenti nei galeoni e nei bertoni della sua squadra. |
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Settembre |
E’ individuato il punto in cui fare sbarcare i fanti. Le galee si portano a ridosso della costa turca e permettono lo sbarco. I soldati si incamminano verso il centro. I turchi sono preparati a respingere l’assalto. Nonostante le perdite i fanti riescono ad arrivare sotto le mura ed a appoggiarvi le scale. Queste si rivelano troppo corte. Inizia il ripiegamento. L’Inghirami si avvicina alla riva e dà inizio con le artiglierie a sua disposizione ad un efficace fuoco di copertura. Il capitano della squadra stefanesca si allontana dalla riva solo quando anche l’ultimo uomo del contingente è riuscito a salire a bordo. Si presenta nel frattempo un emissario di un bey locale ribellatosi agli ottomani. Anche Masoli bey, infatti, desidera entrare in Adalia. E’ conclusa l’alleanza: i granducali avrebbero attaccato dal mare la fortezza, mentre il bey avrebbe impegnato a terra gli avversari. L’Inghirami ed il Beauregard di propria iniziativa incominciano a bombardare il centro sperando che Masoli bey faccia altrettanto. Sono sparati 200 colpi. Masoli bey rimanda di continuo il suo intervento accampando sempre nuove motivazioni. Alla fine i due capitani stanchi di questa situazione, ed anche a causa della carenza di vettovaglie, si allontanano e si separano per proseguire ciascuno la propria strada. Inutilmente il Beauregard chiede all’ Inghirami di potere utilizzare con la sua squadra 2 galee. Gli è data risposta negativa. |
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Ottobre |
Si unisce alla sua squadra un galeone francese il “Saint François””. Il Beauregard si trova nel canale di Rodi (Rodhos) con altri 8 vascelli. Con lui sono anche i francesi Lambert, Jacques Pierre e Simon de Saint-Jean che agiscono con lettera di corsa rilasciata loro dal viceré di Napoli. A fine mese è segnalato a proravia un convoglio di pellegrini di Alessandria (Al Iskandariyah) che sta tornando a Costantinopoli (Istanbul) e che deve passare nelle acque in cui si è appostato. Si nasconde dietro Capo Celidonio, all’estremità occidentale del golfo di Satalia (o di Antalya) per piombare addosso alla carovana di notte, all’ improvviso. Compaiono le navi (42 vele); il primo vascello ad essere preso, con il concorso del Lambert, è un caramussali, che si difende bravamente nonostante abbia il bompresso in fiamme. La lotta si frantuma in più episodi mentre il convoglio, nel suo insieme, cerca di guadagnare l’isola di Rodi approfittando dei venti favorevoli. Si arriva agli abbordaggi. Il galeone “San Giovanni” è respinto da uno dei 3 galeoni (chiamati anche sultane) ottomani; solamente con l’arrivo del “Saint François” si ha ragione dei difensori. Il “Santa Cristina” si impossessa senza colpo ferire di una germa; il “Livorno”, al contrario, deve lottare duramente con un secondo galeone ottomano. Ne viene abbattuto l’albero di maestro e si tenta nuovamente l’attacco. Dopo sei ore di combattimento i toscani ne hanno la meglio con l’arrembaggio: dei suoi 500 difensori al termine dello scontro ne risultano vivi solo la metà. Solo uno dei galeoni fugge in salvo a Rodi con altri piccoli velieri lasciati passare a bella posta in attesa dei maggiori. La vittoria del Beauregard è completata con la cattura di 3 germe e di 4 caramussali. 600 sono i morti turchi nel complesso; si raccolgono 600/700 schiavi, tra i quali si annoverano molti mercanti ebrei di Salonicco (Thessaloniki), dei quali diversi, appartenenti a ricche famiglie, saranno riscattati a caro prezzo. Le perdite toscane ammontano a 40 morti ed a 350 feriti; 340 sono, viceversa, i prigionieri rimasti nelle mani ottomane. Il bottino in gioielli, denaro e merci preziose è valutato superiore ai 2 milioni di scudi. Con la vittoria il Beauregard non persevera nell’azione preferendo allontanarsi per andare alla ricerca altrove di nuove prede. |
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1609 | |||
Febbraio |
Rientra a Livorno. Dopo pochi giorni muore Ferdinando dei Medici. Gli succede il figlio Cosimo. |
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Settembre | Toscana | Impero ottomano |
Salpa da Portoferraio con 3 bertoni e 3 galeoni, il “San Giovanni Battista”, il “Livorno” ed il “Cristina”. |
Novembre |
Si trova sulle coste della Caramania. Viene informato che 4 galeoni di Alessandria stanno navigando verso Costantinopoli con il tributo annuo. Sentendosi debole, si congiunge con Monsignore di Rodi, Pet de Rhodes, un cavaliere di Malta che ha armato a proprie spese 2 vascelli per la guerra di corsa. I turchi prendono, tuttavia, altre vie e sono scortati da 16 galee: i corsari toscani ed i maltesi rimangono delusi nelle loro aspettative. |
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Dicembre |
Nelle acque di Rodi si imbatte nel vascello di Beaulieu-Persac che naviga anch’egli con lettera di corsa del granduca di Toscana. Vende a quest’ultimo 500 quintali di biscotto ed altri generi alimentari in cambio di altre mercanzie che si trovano nel vascello amico. Entrambi decidono di collegarsi e navigano lungo le coste della Caramania; sbarcano nel porto dell’antica Alicarnasso. Negli stessi giorni 6 galee di Rodi sorprendono una sua fregata catturando dai 35 ai 40 uomini. Di seguito il Beauregard ed il Beaulieu-Persac si dirigono su Tiro (Sur) dove si deve radunare la flotta del granduca di Toscana: obiettivo è quello di aiutare il sultano Jachia, fuggito da Costantinopoli a seguito della morte del padre Maometto IV ed alla salita al potere del fratellastro Ahmed. In Siria, infatti, l’emiro dei drusi Fakhred-din e l’emiro di Saida si sono ribellati al sultano e guidano la rivolta con Jachia che gode dell’appoggio dell’imperatore Carlo V, del papa e del granduca di Toscana. Da qui i 2 corsari si spingono nel porto di Alessandretta (Scanderun); sbarcano 300 uomini a terra a Capo Canzin (Capo Hinzir) agli ordini del Chanteloube e del sergente maggiore Emilio Landi; lo scalo è trovato deserto e tutte le case sono state date alle fiamme in precedenza. Si decide di intercettare una carovana terrestre proveniente da Aleppo (Halab): sono catturati solo 18 cammelli che trasportano anguille salate e riso destinati a Bayas. La povertà del bottino induce a macellare gli animali per potere utilizzare la loro carne a bordo delle navi. Il cattivo tempo impedisce in sostanza l’avvio di operazioni su più larga scala in quanto la flottiglia corsara è costretta a restare ferma per settimane in tale golfo. |
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1610 | |||
Gennaio febbraio |
A m,età gennaio è assalita una germa con 80 turchi, dei quali la metà restano uccisi in combattimento e la seconda metà è ridotta in schiavitù. Gli schiavi sono divisi fra i due corsari. Seguono incontri a terra con il sultano Jachia ed una scorreria per fare rifornimento d’acqua e di legna a Porta Palazzo (l’antica Priene) in Caria; Emilio Landi cade in un agguato posto dalla cavalleria ottomana e sul terreno rimangono molti dei suoi fanti. A Porto Bonel: il Beauregard fa sbarcare 400 soldati con il Landi; il Beaulieu-Persac 30 moschettieri e 15 picchieri. Sono respinti inizialmente 300 turchi che si rifugiano in un casale. Viene messo a ferro e fuoco un villaggio vicino. Intervengono 800 turchi. Francesi ed italiani si ritirano fino al punto di imbarco sotto la protezione del fuoco dell’artiglieria navale. Sono catturati nello scontro due turchi che, il giorno seguente, saranno liberati in cambio di una certa quantità di pollame, burro, formaggio ed alcuni montoni. Sorgono gravi litigi tra i partecipanti alla scorreria; vi è pure un duello tra il nipote del Beauregard ed il Landi in cui il secondo rimane ucciso. A fine mese il corsaro sbarca a Cipro; vi è una nuova discesa a terra per procurarsi l’acqua necessaria per la squadra. I turchi sono ora respinti. Si dirige ancora verso Alessandretta. Nei pressi cattura una germa carica di riso e caffè con 100 turchi a bordo: di costoro, 40 muoiono in combattimento e 60 sono fatti schiavi. Notevoli sono, ancora una volta, le perdite fra i toscani. La germa è data alle fiamme. A fine febbraio il Beauregard ed il Beaulieu-Persac si separano in modo definitivo. |
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Marzo |
Il Beauregard ha l’incarico di svolgere un’azione diplomatica; raggiunge il porto di Tiro (Sur) nel Libano per confermare a nome del granduca Cosimo dei Medici l’alleanza con l’emiro Fakr-el-din (Faccardino) e stipulare con lui un trattato commerciale, con la promessa di aiutarlo nelle sue lotte contro il pascià di Damasco. Il galeone “Santa Cristina” cattura un caramussali turco (più di 150 uomini tra morti e feriti tra i toscani). |
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………………… |
Al termine della missione diplomatica il Beauregard riprende il mare; si imbatte in un galeone maltese piuttosto malconcio, il “Leon d’oro”, lo soccorre e fa in modo che possa seguitare la sua navigazione. Prosegue verso Scarpanto (Karpathos); nelle vicinanze di Sette Cavi (Sette Capi) fa suo un piccolo bastimento con 23 turchi: viene in tal modo ad apprendere che la carovana di Alessandria è già transitata per Costantinopoli con una buona scorta e che dovrebbe rientrare in breve tempo alla località di partenza. Decide di aspettarla al varco. |
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Luglio |
Giungono in soccorso del Beauregard il “San Giovanni Evangelista”, comandato da Paolo Durante, ed un’urca fiamminga, che è stata noleggiata dal governo granducale per trasportare due nuove compagnie di soldati. Rimanda a Livorno i feriti, i malati e gli invalidi a bordo del legno fiammingo. L’attesa della carovana di Alessandria si rivela esiziale: lo scorbuto si diffonde tra gli equipaggi per cui si deve portare all’isola di Candia e qui sostare fino alla cessazione dell’ epidemia. |
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Agosto |
Si indirizza nuovamente all’isola di Scarpanto dove sa che il convoglio di Alessandria ha raggiunto Cipro, dove si è fermato per una decina di giorni. Viene pure a conoscenza della presenza di 20 galee della sua scorta che incrociano nelle acque di Rodi. Il Beauregard con i 4 galeoni che ha al suo comando si dispone ad assalire a fine mese la carovana, che è scortata da 21 galee e da una galeazza. Nonostante la sproporzione di forze, non esita a gettarglisi contro perché, a causa della negligenza dei nemici, il corpo centrale dell’armata si è di molto distanziato dalla sua retroguardia. Una volta giunto a tiro di balestra, ha l’accorgimento di attendere la prima salva da parte dei cannoni di corsia, per poi rispondere fiaccamente con le sole artiglierie minori affinché i turchi credano che i galeoni siano dotati di una scarsa potenza di fuoco, prendano baldanza e si facciano avanti. Lo stratagemma riesce; dai vascelli toscani parte una bordata di grossi calibri che colpisce con forza le galee. Ne affonda una e volge in fuga verso Rodi le altre 20 galee, sempre accompagnate dalla galeazza. Gravi, in ogni caso, risultano una volta di più le perdite fra i suoi uomini. I turchi non escono dal porto, per cui il corsaro si decide ad abbandonare la zona ed a puntare ancora su Sette Cavi. |
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Settembre |
Effettua un nuovo sbarco a Cipro presso Cerines (Kyreneya). Scendono a terra 400 soldati agli ordini del sergente maggiore, il cavaliere di Santo Stefano Mazzinghi, che ha preso il posto di Emilio Landi; tutti, per non destare troppi allarmismi nel nemico, sono accatastati su una sola nave. Questa si accosta alla località. A causa del vento contrario i fanti possono prendere terra solo poco prima dell’alba; la fortezza è distante due miglia dal punto di approdo. I ciprioti hanno il tempo di organizzare un’adeguata difesa. Segue l’attacco alle mura di Cerines: esso è portato con delle scale che risultano troppo corte rispetto all’altezza della cinta; è fatta scoppiare una mina per aprire la porta. Questa non ha parimenti effetto perché, contrariamente alle informazioni in possesso, l’accesso risulta protetto da un terrapieno e da un bastione collocato all’interno. La ritirata si rivela ordinata; è respinta la cavalleria turca che si oppone loro ed i fanti infliggono agli avversari gravi danni. Sono riprese le scorrerie in mare. |
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Ottobre |
Dopo avere veleggiato più giorni attorno a Cipro il Beauregard cattura un carico semivuoto. Si getta sulla retroguardia della flotta turca (43 galee e 2 galeazze) comparsa all’orizzonte a Capo Bianco (Ras al Abyad). Tenta di tagliarle la strada. Gli ottomani mettono in atto una particolare manovra: procedono inizialmente sopravvento in linea di fila; una volta ridotte le distanze assumono una formazione lunare per poi avvicinarsi, scaricare tutti i loro pezzi sui toscani e fare un’ immediata inversione. Il risultato è modesto. I galeoni aprono, a loro volta, il fuoco, colpiscono parecchie galee, le obbligano a retrocedere ma non sono in grado di catturarne alcuna. |
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1611 | |||
Gennaio |
Tenta di impadronirsi di un popoloso villaggio vicino a Samo (Samos). Allorché vi entra scopre che gli abitanti lo hanno abbandonato. Distrugge nell’isola di Negroponte (Evvoia) il castello di Disto (Dhistos) e si appropria di alcune piccole imbarcazioni. |
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Aprile |
A metà mese rientra a Livorno dopo avere navigato per diciotto mesi; nella spedizione sono stati catturati 12 vascelli, uccisi 700 turchi, fatti 760 schiavi, liberati 518 cristiani e poste in fuga (con 5 vascelli) una volta 20 galee ed una galeazza e, in una successiva occasione, 43 galee e 2 galeazze della flotta ottomana. Le perdite risultano superiori ai 400 uomini, quasi altrettanti sono i feriti. Oltre al sergente maggiore Emilio Landi, morto nelle acque di Capo Iskanderum, sono caduti, tra gli altri, i capitani Ricciarelli, Guido Ubaldo Brancadoro, Micheletto, l’aiutante Luca da Stia, il cavaliere Jacopo Capponi. Il danno materiale è superiore ai 600000 scudi. Da questo momento cesseranno le spedizioni toscane con i velieri perché ritenute troppo costose e di poco profitto. I cronisti toscani magnificano, al contrario, i risultati dell’impresa. A ristabilire le proporzioni ci pensa il nunzio apostolico che, scrivendo al cardinale segretario di stato, asserisce che la preda è stata di poco conto, che gli schiavi sono per lo più donne e bambini, che dei toscani ne sono morti più di 400 ed i velieri sono rientrati in condizioni tali da non potere più riprendere il mare, specie per 4 di essi sui quali, oltretutto, si è sofferta un’altissima mortalità. |
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1614 | |||
Marzo |
Il Beauregard esce con i vascelli ed i galeoni mentre Iacopo Inghirami salpa con le galee. |
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1615 | Muore. |
CITAZIONI
-“Abile e fortunato.” Manfroni
–“Fu un viaggio (l’ultimo) pieno di avventurosi successi, di pericoli ed anche d’insuccessi, nel Mediterraneo orientale in cui vengono esperimentate con risultato maraviglioso le potenti artiglierie dell’armata stefanesca. La preda conquistata in questa campagna navale fu davvero considerevole: si vogliono catturati ben 160 vascelli nemici, fatti 760 prigionieri, liberati 518 cristiani, ascendendo il ricco bottino ad un valore complessivo di due milioni di piastre. Ma pure i nostri ebbero a deplorare lacrimevoli perdite e purtroppo lo attestano, fra gli altri, i combattimenti al Paiazzo (ossia Porta Palazzo, sulle coste della Caria), al Cavo Scanderona (ossia Capo Iskandenderun) nel golfo di Alessandretta, a Cerino (Cipro) e lo scontro del 27 agosto 1610.” G.G. Guarnieri
-“Fece della guerra di corsa la missione della sua vita.” Amerighi